La pietra parla, l'argilla racconta il passato del mondo. E lo fa con un linguaggio ricco di immagini e simboli potenti. Il ricordo di una cultura, di una religione che sembra dimenticata, ma che torna ad essere vitale nel nostro quotidiano.
Le statuette di veneri primitive sono solo il punto di partenza di una civiltà dell'Europa antica che fa parte di noi come una traccia genetica.
Il culto della Grande Dea, come Madre dal grembo accogliente, come Signora degli animali, come temibile Vendicatrice, ci invita a recuperare uno sguardo più attento sul mondo e sulla natura. A trovare un modo nuovo e antichissimo di leggere il femminile e il suo rapporto con il creato. Una dimensione più umana, che segue il ciclo delle stagioni, che coglie la bellezza che ci circonda e la rispetta.
I segni, le scritture sacre, l'esaltazione gioiosa del corpo. Senza pregiudizi, senza paure né vincoli. Una religione che diventa anche struttura sociale e politica. Più giusta, più evoluta, perché non si rafforza nell'esclusione del maschio ma nel raggiungimento di un'autentica parità dei sessi.
Una Dea che ci è madre e figlia, che ispira la nostra mente e nutre il nostro cuore. Alla quale possiamo sempre rivolgerci perché è vicina a noi. È già dentro di noi. Ama, vive, muore e rivive. Proprio come noi.
Marija Gimbutas (1921-1994) è stata una famosa archeologa americana di origini lituane, a cui si deve la suggestiva ipotesi “Kurgan” sulle radici culturali dell'Europa antica. Tra le sue opere si ricordano: Il linguaggio della Dea. Mito e culto della Dea Madre nell'Europa Neolitica, Kurgan. Le origini della cultura europea, I Balti.
Marija Gimbutas, Le dee viventi, Medusa, 2005, 330 pp.
ISBN 9788876980091.